Il Fegato etrusco e il 45° parallelo
Sono
nata ed abito a Torino, molto vicino a dove passa il 45°parallelo. Le mie origini paterne invece sono nel nord del Lazio da dove deriva la mia passione e il motivo per cui mi sento un’etruska fra
le Alpi.
Incredibilmente il 45°parallelo, che a Torino è legato a misteri
occulti, attraversa l’Italia del nord seguendo quasi la linea
del fiume Po.
Questo
fiume è stato un fiume sacro per le popolazioni locali. Popolazioni che
commerciavano con gli Etruschi come testimoniato dai reperti trovati e di cui
ho già trattato nel mio blog, in primis l’elmo ritrovato alla confluenza del fiume Po e Dora. Mi piace immaginare che qualche Rasna abbia anche deciso di viverci
al nord, come testimonia la stele di Busca.
I
miei ultimi viaggi e ricerche si stanno quindi allargando su questa linea
immaginaria.
Questa
volta ho raggiunto Piacenza, che per molto tempo è stata per me solo un'area di
passaggio legata ai miei viaggi dove ho trovato ad attendermi una bella
città con la sua storia e i suoi rispettabili palazzi. Per raggiungerla in
autostrada si attraversa il grande arco metallico e colorato, come un
emozionante arcobaleno sempre presente ad indicare appunto l’attraversamento
del 45° parallelo.
45° parallelo |
Facilmente
raggiungo il Museo Civico nell’imponente Palazzo Farnese in piazza Cittadella.
Da qualche tempo è stato inaugurato il nuovo allestimento per la sezione
archeologica, che ho trovato molto coinvolgente. Tra l’altro sul sito internet
del museo c’è la possibilità di vedere alcune ricostruzioni in 3D.
Il
mio primo pensiero è stato di raggiungere subito la sala con il fegato etrusco, ma ho comunque visitato tutte le sale facendo crescere in questo modo l'attesa.
Il
complesso architettonico comprende il cinquecentesco palazzo ducale e la
cittadella trecentesca.
Sul
piano rialzato ci sono le collezioni civiche e farnesiane, sul piano ammezzato
il Museo del Risorgimento, mentre al primo piano la pinacoteca.
La
sezione pre-protostorica è ospitata al piano terra nella zona della cittadella
viscontea, dove proprio all’inizio del percorso vi è una sala dedicata ai
collezionisti e agli studiosi che hanno dato origine alle prime raccolte. Tra
questi ho trovato Giuseppe Poggi La Cecilia (Piozzano 1761-Saint Prix 1842), noto
erudito. Grazie al suo interessamento numerose opere d'arte rientrarono a
Parma dalla Francia post napoleonica. All'interno del museo archeologico vi è
esposta anche la preziosa raccolta donata dal Poggi, composta da pezzi italico
etruschi.
Scendendo
nei sotterranei finalmente raggiungo la sezione "Placentia Romana" e
in una esposizione scenografica intravedo finalmente il famoso Fegato
Etrusco.
Per
entrare nella sala quasi ci si deve piegare in una sorta di inchino rispettoso in
quella che mi pare una grotta magica. E’ lì tutto solo, protetto da una teca
trasparente, che permette di vederlo quasi a tutto tondo, emana scintille di
luce con una sorta di sacralità insita nel materiale stesso con cui è stato
forgiato.
Ogni scritta un simbolo, ogni simbolo un significato ideale, che ci
mette in comunicazione con un altro tempo. Come un oggetto spezzato, solo
rimettendo insieme i pezzi e facendoli combaciare potrà farsi riconoscere al
profano. Ed è quello che mi sembra voglia rappresentare il filmato, che vedo
proiettato sul pavimento, quasi completamente nascosto dalla teca. Si susseguono
Aria, acqua, terra e fuoco, il passaggio degli astri e le scritte che lo compongono.
Una proiezione del filmato |
Già
il luogo del rinvenimento risultò piuttosto strano, in quanto in antichità la
zona non rientrava propriamente nel territorio etrusco. Venne, infatti, ritrovato da un contadino durante
l'aratura il 26 settembre 1877 nella località Ciavernasco, nei pressi di Settima, frazione di Gossolengo.
E questo mi ricorda molto il mito di Tagete, un fanciullo che apparve sotto una zolla mentre un contadino (Tarconte) si apprestava ad arare un campo, che con la sua saggezza insegnò l'arte della divinazione al popolo etrusco.
Gli
Etruschi fissarono con grande precisione le pratiche dell’arte divinatoria,
tanto che la disciplina Etrusca, come la chiameranno i Romani, si configurava
come una scienza esatta, che garantiva predizioni sicure.
Era
suddivisa in differenti pratiche e una di queste era proprio l’epatoscopia,
l’arte di leggere la volontà degli dei tramite l’osservazione e
l’interpretazione degli organi interni degli animali sacrificati, in
particolare il fegato degli ovini.
Questo reperto è quindi un modello a dimensione naturale del fegato di un ovino. Risale
al II-I secolo a.C. e non è molto grande, sembra adatto per essere portato su
una mano, misura infatti 126 × 76 × 60 mm.
E’ composto da due facce: un
lato convesso con due iscrizioni riferibili alla Luna e l’altra al Sole. L’altro
lato è bordato di un nastro che corre lungo il margine esterno, suddiviso a sua
volta in sedici caselle. All’interno è ricco di iscrizioni di divinità del
pantheon etrusco e vi si trovano alcune parti in rilievo, che riproducono in maniera abbastanza
naturale l’organo dell'animale.
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Questo
nastro è stato interpretato come la rappresentazione del cielo che veniva
suddiviso in quattro parti, derivanti dagli incroci dei punti cardinali, e
ognuno a sua volta era formato da altre quattro sezioni, da cui appunto si
hanno le sedici caselle presenti sul fegato bronzeo.
Anche se questa sembra la più attendibile, nel tempo sono state fatte anche altre interpretazioni sul reperto, tuttora ancora oggetto di studi, tra cui
che rappresentasse una mappa delle mura di Roma o del nord Italia.
Sicuramente
la sua unicità del materiale in cui è stato forgiato, delle iscrizioni
riportate e dell’anomalia nel ritrovamento, lo rende straordinario e misterioso
allo stesso tempo.
La sua rappresentazione del tempio celeste sulla terra e il posizionamento sulla linea del 45° parallelo mi fa volare con la fantasia e sentire un’Etruska
nell’universo.
Museo Archeologico di Palazzo Farnese - Piacenza -
Mio è l'inserimento e la scelta della musica che lo accompagna
Link utili:
Super!
RispondiEliminaGrazie mille!
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