Un dio di origine etrusca e il mistero di Borgone Susa


Abitando a Torino è facile raggiungere luoghi che emanano fascino e mistero solo nominandoli, perché portano con loro da tempo immemore storie e racconti che si intrecciano con mito e leggenda. 

Uno di questi è sicuramente il Bosco di Maometto di Borgone Susa

Decido di raggiungere il posto in una giornata estiva, ma carica di nuvoloni, perchè mi avevano avvisata che l'edicola che mi interessava era oramai piuttosto usurata dal tempo e sarebbe stato più semplice fotografarla con una luce diffusa e priva di ombre.

Arrivata a circa metà strada tra l’antica stazione romana ad Fines di Malano e Susa, tra gli abitati di Borgone, vedo un cartello con la scritta “Maometto” che mi indica un stradina fra i campi. Lascio l'auto e mi dirigo verso il sentiero che porta nel bosco. 

Anche se sono piuttosto vicina alla strada principale una volta addentrata mi pare che tutto si plachi e i miei passi sono accompagnati dal solo rumore delle foglie che calpesto, dalle gocce di pioggia che scendono lievi tra il fogliame e dai tuoni in lontananza. La vegetazione sembra avvolgermi sempre più.  

Quando si cercano informazioni su questo luogo si trovano riferimenti ai Druidi, alle Masche (le streghe del folclore piemontese), alla leggendaria città di Rama, ai saraceni e infine agli UFO. 

E non posso fare a meno di sentirne la suggestione. Un intricato labirinto di muretti a secco e costruzioni abbandonate ne accentuano il fascino misterioso. I battiti del cuore accelerano il mio stato. 

La camminata è agevole. Il sentiero non ripido mi porta tra alberi di acacie verso un'area aperta, dove riparato da una staccionata lo vedo e gli vado incontro come avessi ritrovato un vecchio amico. 

Eccoti qui!


L'origine del nome è incerta. La tradizione popolare della zona lo lega alle molte leggende antiche sulle invasioni dei Mori, che oltre mille anni fa devastarono la Valle di Susa, lasciando terribili ricordi nella gente, poi tramandati per generazioni. Altri ne individuano un'interpretazione popolare della figura con “’Ël mè omèt”, “il mio ometto”, e quindi poi in Maometto. Tutta quest'area ne porta il nome (Regione Maometto), come anche il rio situato nei pressi (Rio Maometto). C'è ancora molto da verificare, ma tutte le fonti concordano su un unico punto: non si tratta di una raffigurazione del profeta, la raffigurazione antropomorfa e l’iscrizione sull’edicola ne escludono quest’origine.

La scultura è un bassorilievo a forma di tempietto con due colonnine laterali provviste di capitelli appena sbozzati, sormontati da un frontone lievemente aggettante. E' stata scolpita nella roccia a circa tre metri dal suolo su un gigantesco masso franato dalla vicina parete montana che ne dà un'aria irraggiungibile e quasi mi pare che flutti proprio come un dio, ma è sicuramente una mia suggestione...

So che sul frontone ci sono tracce di un’iscrizione latina su tre righe, ma da qui mi rendo conto quanto la cor­rosione atmosferica e il tempo abbiano fatto danni irreversibili.

Nell’ultima riga, la più visibile, le lettere V M sono state interpretate come V(OTUM) M(ERITO) un ex-voto ad una divinità, datandolo intorno alla prima metà del II d.C.

All'interno dell'edicola è raffigurato, sopra una base quadrata, un personaggio maschile, in posizione frontale, vestito di una tunica corta e stretta alla vita. Dietro il corpo si distingue ancora il mantello che discende dalle spalle.  La figura reca entrambe le braccia alzate e piegate verso l'alto. Sono state individuate nella mano destra un sottile oggetto lungo ricurvo e nella sinistra un oggetto tondeggiante, mentre a destra, ai suoi piedi, un animale rivolto verso di lui, probabilmente un cane.  


Abbiamo invece alcune interessanti interpretazioni per l'iscrizione latina:

Nella prima, che si deve ad Augusto Doro, la figura del "Maometto" viene identificata con il dio Vertumnus, personificazione del rinnovamento agricolo stagionale spesso rappresentato in compagnia di un cane, divinità romana di origine etrusca (Voltumna). L'ipotesi era suggerita dalla presenza delle abbreviazioni V(otum)...M(erito) e alla terza riga delle lettere V...NUS, integrate con Vertumnus. 

In base ad una diversa integrazione dell'iscrizione, con le sillabe VA davanti ad NO, Antonio Ferrua fu propenso per un'identificazione con il dio Silvano, considerato il dio dei boschi e della campagna, protettore delle greggi e delle proprietà. Appariva rappresentato sempre barbuto, con chioma folta coronata di pino, con una tunica corta, un falcetto nella destra e un ramo di pino nella sinistra e accanto il cane. Derivava dal dio etrusco Selvans, divinità protettrice della natura e delle attività agresti. Gli oggetti in mano al personaggio potrebbero essere quindi identificati con il falcetto e la fronda caratteristici della divinità. Inoltre si ritiene che Silvano fosse anche protettore del sottosuolo, cioè di cave e miniere, attività di questo territorio.

Il Carducci pensava di riconoscervi invece Giove Dolicheno che cavalca un toro, una divinità di origine asiatica, il cui culto misterioso come quello di Mitra si sviluppò specialmente nell'ambiente legionario e nei posti di frontiera romani, intorno al II secolo dell'Impero. Ipotesi avvalorata da alcuni ritrovamenti effettuati sull'altura del masso erratico: una decina di monete, prevalentemente degli Antonini, e una piccola aquila di bronzo del tipo che si ritrova comunemente sotto le immagini del Dolicheno. 

Secondo la più recente interpretazione, proposta da L. Brecciaroli Taborelli, l'iscrizione potrebbe integrarsi nel seguente modo: [D]eo/[SIL]vano, [L]ucius Vettius Avitus/[v]otum [s]olvit [l(ibens)] m(erito).ì, dunque una dedica al dio Silvano da parte di Lucius Vettius Avitus.

Mentre mi interrogo su cosa possa rappresentare...ho come l'impressione di essere osservata...infatti non sono sola. 
Tutto intorno vedo strutture murarie, primitivi anfratti costruiti a secco con pietre di dimensioni e forme alquanto irregolari, senza un apparente senso, forse un labirinto iniziatico, realizzati intorno al II millennio a.C. Questo luogo era quindi abitato già nell’età preistorica molto prima dei romani o dei saraceni. Tutto intorno mi parla degli antenati, chiunque essi fossero e a qualunque religione appartenessero. 


Poco distante nella fitta vegetazione si trova un altro masso erratico ma più piccolo, quasi un altare, dove due grosse macine di pietra scolpite sono state lasciate incompiute ed emergono dalla roccia.



Nel punto centrale di questa piattaforma venne in luce una sepoltura di epoca preromana (3.000-3.500 anni fa) con lo scheletro deposto nella nuda terra, senza copertura, ma con una fila di lastroni per ogni lato, paralleli alla lunghezza del corpo. Allo stesso periodo sono forse da riferire le coppelle scavate nella parete rocciosa che fronteggia il masso dove probabilmente si lasciavano offerte.

Questo luogo è stato un bosco sacro riutilizzato da genti di diversa origine con i loro differenti riti e culti e di cui forse non ne conosceremo mai tutta la verità. La dimora di creature e vegetazione che crescevano liberamente e si contrapponeva alle aree dedicate ad allevamenti e alla coltivazione dei campi, uno luogo di confine tra l'ordine e il disordine, tra selvagge e primitive passioni definite demoniache contrapposte a quelle razionali e controllate. Dove si richiamavano gli dei per la protezione e il mantenimento di questo confine e della sua fecondità, che ciclicamente moriva nel solstizio di inverno per risorgere all'equinozio di primavera, ruotando all'infinito involontariamente rappresentata dalle macine qui abbandonate sigillo solare di questa terra magica.
Come un'Etruska fra le Alpi lascio questo bosco in silenzio nel rispetto per il luogo e i suoi simboli e riprendo il sentiero pronta per una nuova destinazione.

Fonti:
Brecciaroli Taborelli L., 1992, L’iscrizione rupestre di “Maometto” presso Borgone di Susa (Alpi Cozie), in “Rupes Loquentes, Atti del Convegno Internazionale di studio sulle iscrizioni rupestri di età romana in Italia” (1989), Roma, pp. 33-48
Ferrua A., 1971, Nuove osservazioni sulle epigrafi segusine, in “Segusium”, VIII, p. 42
Carducci C., 1968, Arte romana in Piemonte, Torino, p. 21
Doro A., 1947, Bassorilievo romano inedito in Val di Susa, in “Bollettino SPABA”, nuova serie, I, pp. 15-19
Roberto D'Amico; Maometto in Valle Susa , in Clypeus, vol 39-2 (1972),pp. 30-31
Link utili:
http://archeocarta.org/borgone-di-susa-to-il-maometto/
https://fondoambiente.it/luoghi/bosco-del-maometto?gfp
https://www.civico20news.it/mobile/articolo.php?id=37978
https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchaeologicalProperty/0100043202

Commenti

  1. gestisco su Facebook un gruppo e cinque pagine. Ti chiedo il permesso di utilizzare le tue foto. Ovviamente citerei l'autore. Per maggiori chiarimenti puoi trovarmi su Facebook con lo pseudonimo di Narciso di Cellini

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  2. Grazie per il commento e per l'attenzione.
    Ho provveduto a risponderLe in privato su Facebook come da sue indicazioni. KS

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