BLERA – PARTE I - Il drago e San Senzia

 
Vessillo San Sensia


Vessillo San Sensia

Sto trascorrendo qualche giorno nella casa di famiglia di Blera, paese da cui provengono le mie origini etrusche.
Percorro le strade di sempre. Ogni angolo, ogni finestra chiusa, ogni porta serrata mi ricorda le persone, che ahimè, non ci sono più.  Passeggiando mi pare di vederli ancora lì, con le loro fisionomie che li caratterizzavano e di sentire le voci e le risate o la loro parlata dialettale, che spesso facevo fatica a comprendere. E così trovo aperti nuovi negozi o negozi di sempre, ma con nuovi commercianti e il centro storico mi pare essersi spento di quei colori, quella luce e quegli odori, che me lo rendevano familiare.
Così decido di lasciare andare la mente e farmi guidare dall’istinto come se fosse un paese sconosciuto e scelgo di raccontare che cosa ha colpito la mia curiosità…
Raggiungo nel centro storico della città la chiesa principale di Santa Maria Assunta, un tempo cattedrale della Diocesi di Blera, soppressa da secoli, che la tradizione fa iniziare con san Vivenzio, patrono della cittadina.
Curiosamente delimitata sul retro da una rupe naturale all' interno è suddivisa in tre navate con transetto soprelevato e coro absidato, disposto secondo l’asse est- ovest. Si accede alla chiesa dai tre portali posti nel prospetto ad est e preceduti dal sagrato rialzato di sette gradini; solo il portale centrale è seguito da una bussola lignea. 
Entrando e posando lo sguardo al fondo risulta difficile non notare il sarcofago romano usato come altare, non so se per schiacciare i demoni pagani o per esaltarne la bellezza innegabile di questo manufatto.
Il transetto si presenta sopraelevato per la cripta sottostante, visibile al fondo di una scalinata composta da nove gradini che precede l’arco trionfale e che al centro è interrotta dalla scala che discende alla cripta. Si discende in un ambiente illuminato di luce calda, area suggestiva sorretta da splendide, esili ed eleganti colonnine in marmo, spazio che accoglie le spoglie del santo protettore cittadino, San Vincenzo.
La mia attenzione viene però catturata dal gonfalone posto sulla navata destra, che riporta il nome di un santo che non conosco, San Senzia, raffigurato mentre tutto soddisfatto porta al guinzaglio un bel dragone per niente consenziente.

Le notizie sulla vita del santo sono scarse e spesso legate ad elementi leggendari.
E' stato un'eremita vissuto nel V secolo, un periodo di profonda trasformazione per la Tuscia Romana, caratterizzato dalla diffusione del Cristianesimo e dalla lotta contro l'arianesimo. Secondo la tradizione svolse un ruolo fondamentale nell'evangelizzazione, contribuendo alla diffusione della fede cristiana e alla conversione di molti pagani.
Ancora oggi, seguendo il percorso storico-naturalistico nella suggestiva e verde vallata sotto Blera, se si attraversa il fiume Biedano dal ponte del diavolo, datato II secolo a.C., percorrendo l’antica via Clodia, si sale alla fontana di San Sensia e alla grotta omonima che, secondo la tradizione fu dal lui abitata.

Essendo le favole la mia ultima passione di collezionismo e ricerca di tradizione popolare, vi riporto di seguito la storia leggendaria di San Sesia, presa dal bellissimo testo di Domenico Mantovani: Una leggenda blerana: S. Sensia.
Una bellissima favola raccontata intorno al fuoco, come si faceva qualche tempo fa, quando ancora qualche bimbo portava il nome del santo...

“Nella notte buia dei tempi, allorquando Roma, signora del mondo, cadde, a sconto dei peccati, sotto la tirannia dei barbari invasori, acquistò credito e fama Genserico, imperatore dei Vandali. Feroce quant'altri mai era costui e inimicissimo del nome cristiano e le sue azioni furono tutte se far si potesse che il nome stesso di Cristo venisse distrutto. Passò questo re, a capo dei suoi, per l'Italia tutta come un aratro di guerra, e il solco, che lasciava dietro, fumava di rovine e di sangue. Finché, un giorno, sazio di preda e di morte, risolse di passare il mare e di allocarsi a Cartagine, di fronte al Tevere e alla inimica Roma. Aveva molta preda e innumerevoli turbe di schiavi: tra questi Sensia, Mauriliano, Covuldo, Infante, Istochio. Ma Iddio misericordioso aveva steso la mano sopra costoro, che erano uomini di chiesa e anche giusti e dabbene. Sicché, di lì a poco tempo, il capitano di un naviglio, certamente per incarico del Signore, segretamente li imbarcò e, senza prezzo, li fece passare in una isola, in mezzo al mare, di nome Sardegna. Gensenico lunga pezza li fece inseguire e ricercare ma, a muna cosa approdato, dovette mettarsi l'anima in pace e ritenersi stornato. A grandi cose erano riservati questi santi uomini i quali, dopo breve soggiorno in Sardegna, passarono a predicare l'Evangelo alla Capraia, d'isola di Monte Giove, da loro ribattezzata Monte Cristo, e poi anche d'isola del Giglio dove Mauriliano morì e, ivi sepolto, divenne dell'isola il protettore. Covuldo, Infante ed Istochio rimasero a vegliare la tomba del loro fratello e poi, anche essi, in quell'isola, in mezzo al mare etrusco, ebbero onorevole e lacrimata sepoltura. Sensia, invece, proseguì nel suo viaggio: tocco terra vicino Centocelle - poi detta Civitavecchia, osservò all'orizzonte il profilo oscuro delle colline e senti nel cuore di essere vicino alla meta: aveva inteso dire che idolatre e pagane erano le genti di una città chiamata Blera, e lì, il Signore lo chiamava.
Camminava dunque Sensia alla volta di Blera: l'andatura era lenta e il suo cuore precedeva l'orma dei piedi. Oltrepassò il cupo, impetuoso Mignone, la Vesta fiera e sonnolenta, superò la selvosa cintura delle Macchie; proseguì ancora, si affacciò ai Pontoni: dall'alto scorse la lama argentea del Biedano in fondo all'abisso tra il cupo verde dei cespugli e il verde tenero delle canne: il paese ammucchiato sullo sperone rosso di tufo gli si parava davanti grigio nella trasparente luce del mattino. Si fermò Sensia e prese albergo in una grotta vicino ad una fonte d'acqua sorgiva, e, siccome doveva campare la vita, si mise a fate il ciabattino, a un suo deschetto, a capo chino, ma col cuore gonfio di speranza. Il paese, laggiù, gli era ostile, pagani e idolatri, ma il monaco preparava in segreto la grande vittoria. Si avvicinava l'estate: il sole sfolgorava alto nel cielo; il vento piegava le spighe mature del grano e i papaveri incendiavano le gialle distese dei campi. Avvenne, allora, che un gregge passasse davanti alla grotta del santo ciabattino in cerca di frescura e di ristoro e, da uomo dabbene, il pastore invitò il monaco a dividere con lui il modesto cibo. Accettò di buon grado l'offerta Sensia che, in ciò, vedeva la mano di Dio. Si mise seduto il pastore su una scheggia di tufo e, dalla bisaccia, trasse pane di casa: con il suo coltello tagliò con diligenza alcune fette e le mise a mollo in una vaschetta della sorgente: e, intanto che il pane si impregnava del fresco umore, spaccò con tenerezza due pomodori e, poi, si mise ad aspettare. Quando gli sembrò che le dure fette di pane fossero al punto giusto, da una sachettina trasse un pizzico di candido sale, lo sparse; poi fece cadere da una fiaschettina abbondante aceto e rare gocce d'olio. Sensia dalla grotta cavò fuori qualche piede di cicorietta e di pimpirinella, ché questo, oltre la preghiera, era il suo cibo quotidiano. Mangiarono con grande e buono appetito e si fecero amici. Poi, sul punto di separarsi, come per caso, il monaco chiese al pastore, in regalo, un agnello ardito e vezzoso, il più bello che mi si fosse veduto. Il pastore, torvo, rimase senza fiato, come avesse ricevuto una coltellata in petto; radunò in fretta la greggia e parti, da quell’ingrato che era, senza nemmeno saIutare, offeso dalla richiesta, a dir poco, scortese e importuna. Ma nella notte, un lupo, servitore di Dio, si avvicinò all'ovile e, afferrato l'agnello con le acute zanne, lo depositò amorevolmente alla grotta di Sensia. Passò altro tempo ancora. Un brivido aveva percorso fa superficie riarsa della terra e le piogge d'agosto avevano temperato la calura estiva. L'uva annerava sui tralci rossi di pampini. Il pastore si trovò ancora una volta a passare davanti da grotta di Sensia e stava per tirare di lungo, quando udi la voce del monaco: “Vieni, fratello! Ecco cosa il Signore ha conservato per te!” e così dicendo, gIi restituì l’agnelIo che ormai, grande e grosso com’era, poteva dirsi un ariete. Ma il pastore, dal merco, lo riconobbe ugualmente per suo. Umilmente allora si gettò ai piedi del monaco, implorò il perdono e per le di lui mani si fece battezzare. Ma la messe ancora non era matura per la falce. La notizia dell'agnello tenne occupate alcun tempo le menti dei villani, ma essi, dubbiosi, avevano bisogno di altre prove per credere nel santo ciabattino. E'giusto, in fondo, che la verità e il bene vogliano essere conquistati a pezzo di lagrime e di amarezze. E venne anche per Blera il tempo del dolore e del sacrificio.
Un enorme drago, verde a macchie nere, con Ia pelle irsuta di scaglie e gli occhi di fiamma, aveva preso stanza sui Pontoni e, quando gli era grato, si affacciava sull’orlo dello sprofondo e - da una balza chiamata ancora oggi la VinceIla del Drago - allungava le braccia smisurate sopra l'abisso e ghermiva le più graziose ed acconcie fanciulle che osavano andare al lavatoio: talvolta anche qualche vecchia cadde nelle grinfie dei mostro - ma forse era un errore, chè il drago era oramai vecchio e Ia vista non più tanto buona. Costernati mano i Blerani che non sapevano davvero come affrontate il prodigio e, alla fine; risolsero di mandare ambasciatori alla grotta del monaco, e tra questi era il pastore convertito. Li ascoltò benevolmente Sensia e, preso per mano dal Signore, si avvicinò al mostro. Questo soffiava come la tempesta, ma appena il monaco si fece vicino, si acquietò, si raccolse, chiuse gli occhi di bragia e si mise a grugnire, soddisfatto nel sentirsi grattare la pancia con un grosso ramo di quercia. Allora Sensia gettò intorno al collo, grosso come un tronco d'albero, una sottile cavezza, e cominciò a trarre l'animale che, docile come un cagnolino, seguiva il Santo. Dietro gli scheggioni di tufo e appostati dietro gli alberi, sbalorditi osservavano i villani la scena: avanti Sensia, piccolo piccolo, e dietro il Drago alto come il campaniIe. Camminarono così per un pezzo finché arrivarono all'impetuoso, torvo Mignone. Qui, ultimo, ma non piccolo prodigio, il monaco diede una toccatina al drago e questo con un salto cadde a filo della corrente e sparì in qualche profonda voragine del fiume. Subito arrivò al paese la lieta novella: “il drago è morto! Sensia ha vinto!”. E tutti. uomini e donne. vecchi e bambini, sani e malati facevansi incontro al monaco e lo chiamavano santo. E allora avvenne veramente un grande miracolo: i BIerani - tutti ancora pagani e gentili - respinsero l'idolatria e per mano di Sensia ricevettero il battesimo. Ne seguì festa grande e molti doni vennero portati alla grotta del Santo: coppie di piccioni, maialini da arrostire, pizze di Pasqua, uova, mele, pere e pesche di vigna. E il Santo tutto gradì, ma tutto respinse: fossero grati i Blerani a Dio che tanto li aveva sugli altri paesi prediletti. Ritornarono allora a casa tutti insieme i paesani e profonda allegrezza albergava nei loro cuori e, così andando, cantavano e auguravano al santo monaco lunga e penne vita. Ma Iddio, nei suoi misteriosi e nascosti disegni, ritenne giunta l'ora di chiamare a sè il suo servo diletto e, un giorno di primavera - soffiava un tiepido vento che accarezzava le spighe del grano novelIo e faceva stormire i pioppi del Biedano - fra il compianto del popolo, quell'anima benedetta si addormentò nel Signore. Il popolo tutto lo pianse, così come si piange un figlio e, in lungo corteo lo accompagnò alla tomba, per lui fatta preparare nella chiesa di San Nicola. Ma era destino che San Sensia non dovesse riposare a lungo nella terra che egli tanto aveva amato: infatti, col passare degli anni, un luttuoso evento turbò la pace operosa e tranquilla di Blera: una turba di cavalieri spoletini, usi alla preda, piombarono come falchi sul paese fiducioso e disarmato: ne trassero preda, prigioni e bestiame. Ma tra le altre cose, cosa preziosissima, trassero il corpo santo di Sensia e Io portarono a Spoleto, in una chiesa alle falde del Monteluco. Oggi, di quel tempo remoto, nulla rimane. Solo il ricordo, ma così leggero, come fiocco di nube che il vento Incalza e strappa su, in alto, nel cielo.”

Blera è stata nel tempo una cittadina molto legata alla cristianità; fu infatti la prima diocesi della Tuscia Romana, con 16 vescovi tra il 457 al 1093, primo dei quali San Vivenzio, principale patrono e protettore della cittadina. Diede i natali anche a due Pontefici: Sabiniano I (604-606) e Pasquale II (1099-1118). 
A San Sensia era dedicata la chiesa di San Nicola in Blera, oggi sconsacrata e dove è stata ritrovata durante i restauri, tra l'altro, anche la sepoltura di un misterioso cavaliere, di cui parlerò prossimamente.

Un paese dedicato alla ricerca della spiritualità, ricerca che arriva da lontano, attraversando anche il misterioso tempo etrusco e ci raggiunge avvolgendoci di stupore e mistero.

La "battaglia del drago con il santo" è stata un'iconografia cristiana  usata per simboleggiare la lotta del bene contro il male. Il drago, a volte, rappresentava il paganesimo, mentre la vittoria del santo cristiano è stata vista come una metafora del trionfo del cristianesimo sul paganesimo.

Dalle Alpi alla valle del Biedano alla ricerca etrusca e di curiosità e mistero.

Fonti:
https://www.gentedituscia.it/senzio-santo/
https://www.santiebeati.it/dettaglio/90701

Commenti

Post più popolari